I presunti ecologisti, nell’ultimo anno, hanno colpito anche Milano.
Come Giunta, settimana scorsa, abbiamo approvato una delibera per costituirci parte civile nel procedimento penale che deriva dall’imbrattamento del Dito di Cattelan.
Oggi, in Consiglio, si è discusso a lungo della questione. Alcuni sostengono che il Comune non dovrebbe chiedere i danni, in episodi del genere. Per quanto mi riguarda, il dibattito sul tema è surreale.
Innanzitutto non vedo la correlazione che esisterebbe tra la difesa dell’ambiente e il deturpare un bene pubblico, monumento o statua che sia; a maggior ragione se consideriamo che per rimuovere la vernice serve ovviamente acqua: un bene che suggerirei di non sprecare, se davvero si tiene all’ambiente. Per inciso: l’imbrattamento della Fontana di Trevi è costato, in ripristino, ben 300.000 litri d’acqua. Non proprio due bicchieri.
La disobbedienza civile è più che legittima, a patto però che chi la pratica accetti anche le conseguenze giuridiche della sua disobbedienza (per delucidazioni, telefonare a Cappato). La disobbedienza civile non può essere trasformata in una incomprensibile pretesa di impunità.
È stato detto che il Comune non si dovrebbe costituire parte civile in ipotesi come questa per l’importanza della questione ambientale.
Ma è proprio perché il tema è fondamentale che va difeso e portato avanti con metodi efficaci e all’altezza della storicità della sfida. Non imbrattando statue.
Circa i metodi dei presunti ecologisti di Ultima Generazione, non posso che sposare le parole della capogruppo dei Verdi tedeschi, Irene Mihalic, una che, evidentemente, all’ambiente ci tiene sul serio: “con la loro protesta elitaria e ipocrita fanno l’opposto di ciò di cui abbiamo bisogno nella situazione attuale, vale a dire un ampio movimento nella società per una politica coerente di protezione del clima”.
La verità è che la questione ambientale è tremendamente seria e, come tutte le questioni serie, richiede soluzioni elaborate e complesse.
Solo in questi ultimi due anni, Milano ha adottato il “Piano Aria e Clima”, al fine – tra l’altro – di ridurre le emissioni di CO2 del 45% al 2030 e di diventare una città Carbon Neutral entro il 2050; investito sulla mobilità sostenibile, facendosi carico dell’ulteriore ampliamento delle linee della metropolitana e mettendo in atto una strategia, insieme a ATM, che porterà, entro il 2030, a un parco bus elettrico al 100%; scelto di intervenire su una viabilità che disincentivi il più possibile l’uso dei mezzi inquinanti in città.
Non si è sempre trattato di scelte popolari: ma abbiamo tenuto la barra dritta perché della questione ambientale ci vogliamo occupare davvero.
Come Comune stiamo facendo il possibile; su altri tavoli, regionali o nazionali, le possibilità di incidenza sono indubbiamente maggiori.
Peccato che, nel nostro Paese, molte innovazioni siano spesso state impedite da quelle stesse forze politiche o associative che, almeno sulla carta, si sarebbero dovute spendere per la tutela dell’ambiente e che, invece, si sono sovente limitate a difendere lo status quo.
Così, mentre in Germania sono stati proprio gli ambientalisti a promuovere rigassificatori e termovalorizzatori e, addirittura, ad aprire una riflessione sull’energia nucleare, in Italia pare che per difendere l’ambiente non si possa che dire “no” a tutto. Compreso a costituirsi parte civile quando dei vandali imbrattano i monumenti.
Se vogliamo guardare al futuro, occorre un ambientalismo pragmatico, che creda nell’innovazione, intransigente davanti a una cultura del no tossica e autolesionista.