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CONCESSIONI DI IMPIANTI SPORTIVI: UN CHIARIMENTO

Stanno circolando notizie gravemente inesatte sugli indirizzi che avrei dettato in tema di concessioni di impianti sportivi.

Mi si imputa, in particolare, l’intenzione di voler mettere a bando gli impianti comunali secondo il criterio della migliore offerta economica ricevuta, con sacrificio, quindi, della valutazione sull’elemento qualitativo. È una notizia falsa tre volte: l’Assessorato allo sport non ha mai svolto gare secondo questi parametri; non pensa di svolgerle per il futuro; la legge in ogni caso vieterebbe gare di questo tipo.

È noto che la legge che ha regolato le gare fino ad oggi (art. 95, D.lgs. n. 50/2016, comma 10 bis) imponga un’aggiudicazione in base al miglior rapporto qualità/prezzo. Per individuare un simile rapporto, il punteggio massimo che un’amministrazione può attribuire alla valutazione dell’ “elemento prezzo” è il 30% del punteggio totale, dovendo invece essere riservato almeno il 70% del totale alla valutazione dell’ “elemento qualitativo”. Già per legge, quindi, la qualità supera il prezzo, 70 a 30.

Il Comune di Milano, però, si spinge oltre: le gare che svolgiamo si basano sulla regola dell’80/20. Per l’80% del punteggio si valuta la qualità del progetto, mentre solo per il 20% si tiene conto della migliore offerta ricevuta in termini di prezzo.

Di più: stiamo studiando l’applicazione del nuovo Codice dei contratti, per capire se da oggi sia possibile spingersi addirittura oltre ed arrivare, magari, ad un criterio del 90/10, dando quindi ancora maggiore spazio alla qualità, a discapito del prezzo.

Questo perché non ci interessa affatto “fare cassa” sugli impianti sportivi. Perché sappiamo che i nostri concessionari svolgono ogni giorno, meritoriamente, con la massima passione e con grande spirito di sacrificio, quello che è a tutti gli effetti un servizio pubblico e a noi interessa puntare sulla qualità di questo servizio. Ed infatti basiamo le gare proprio sulla valutazione della qualità dei progetti che ci vengono proposti. Le gare stesse sono uno strumento che serve a premiare la qualità: vince il progetto migliore, non certo il progetto più remunerativo per il Comune.

Chi è consapevole di proporre un progetto di qualità per il territorio e per i milanesi non ha quindi proprio alcuna ragione per aver paura di una gara. Quando si è certi della qualità dei propri progetti, non occorre sottrarsi alla competizione.

Secondo tema su cui c’è un po’ di confusione è il diritto di prelazione. Questo è ammesso dall’ordinamento solo nei casi di partenariati pubblico-privato. Ma il partenariato pubblico-privato non nasce affatto per attenuare la concorrenza e dare un vantaggio competitivo in più a chi oggi già gestisce un servizio pubblico e vorrebbe vedersi rinnovata la concessione.

Il partenariato pubblico-privato è una procedura lunga e complessa, che prevede un dialogo costante tra amministrazione e proponente e che è stato ideato per “generare soluzioni innovative” (così dice testualmente il nuovo Codice dei contratti), in tutti quei casi in cui una semplice gara non sarebbe sufficiente. 

Il concetto è: bisogna riqualificare un grande impianto da cima a fondo, serve un privato che investa un’enorme quantità di denaro, serve un progetto complesso e elaborato, che è meglio definire fin da subito nel dettaglio, in dialogo con l’amministrazione.

Sia chiaro: anche in questo caso la gara non sparisce affatto, viene solo posticipata ad un secondo momento. 

L’unica differenza è che, per compensare in qualche modo il proponente per il grande sforzo progettuale ed economico intrapreso, allo stesso proponente viene attribuito un piccolo vantaggio competitivo: il diritto di prelazione, appunto, che gli consente di pareggiare e superare eventuali offerte migliori pervenute in un secondo momento.

Il Comune di Milano non è affatto contrario ai partenariati, anzi, da anni, li pratica e li apprezza. Ma un partenariato si mette in piedi quando serve un partenariato, non quando non serve. Un partenariato è servito, ad esempio, per ridisegnare da zero il Lido (25 milioni di euro di investimenti privati) e infatti lo abbiamo avviato. Un partenariato servirà a riqualificare e a restituire alla città la piscina Scarioni (18 milioni di euro di investimenti privati) e infatti lo stiamo costruendo. Un partenariato non serve affatto, invece, quando una concessione di un impianto perfettamente funzionante va in scadenza, e si tratta quindi solo di individuare un nuovo concessionario, senza che siano necessari stravolgimenti radicali della struttura o investimenti di milioni di euro. In questi casi si va semplicemente a gara e si premia il più possibile il progetto qualitativamente migliore, senza diritti di prelazione o altri stratagemmi che limitino la concorrenza, visto che è proprio la concorrenza l’unico strumento in grado di premiare efficacemente la qualità.

Non si tratta di una questione ideologica, ma di un semplice atto di buon senso. Compito di un buon amministratore è perseguire l’interesse pubblico: quello che però a volte sembra venire dimenticato è che l’interesse pubblico coincide con l’interesse dei cittadini-utenti e non con l’interesse degli operatori di un determinato settore. La concorrenza massimizza, appunto, l’interesse degli utenti, e pertanto va incentivata, non compressa.

Chi opera tutti i giorni sul territorio e dagli abitanti di quel territorio viene apprezzato, chi costruisce progetti sociali, inclusivi e attenti ai più fragili, chi si fa carico quotidianamente, magari da tanti anni, delle problematiche del suo quartiere e a quelle problematiche cerca di fornire risposte concrete, non deve aver paura della concorrenza. Sarà proprio la concorrenza a riconoscere e a premiare il valore sociale di quella attività, nell’interesse di tutti i cittadini.

Discorsi del genere oggi possono apparire fuori moda, in un Paese ostaggio delle sue corporazioni, che fatica persino a mettere a gara le licenze dei taxi o la gestione degli stabilimenti balneari. Non possiamo avere il Ministero del merito e poi, nei fatti, affossare in ogni modo la competizione ed arroccarsi costantemente in difesa dello status quo.

Basta essere chiari: non c’è niente di male a mettere in atto politiche conservatrici e a voler continuare a impedire l’accesso al mercato a chi oggi ne è ai margini, ma almeno si eviti l’ipocrisia di una contraddizione continua, almeno si eviti di ammantare tutto questo da “difesa dei più deboli”, perché, con un simile approccio, i veri deboli continueranno sempre a restare emarginati.

Ogni volta che si evita una gara si impedisce a un potenziale outsider, a un’idea nuova e potenzialmente utile per tutti di avere una chance di diventare realtà. Ogni volta che si evita una gara si privano tutti i cittadini di una possibilità in più.